cronache della foresta inverno

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FOR ES TA C RONACHE

Lo Spirito dell'inverno della

Illustrato da Sanoe

Traduzione di Gioia Sartori

Per Pierre Billebault, il nostro Coco. E per tutte le grandi persone, come lui, che conosciamo troppo tardi e ci lasciano troppo presto.

Nel cuore dela foresta che lambisce il paesino di Vila Corteccia e sule coline tuto intorno vivono animali dotati di inteleto, di parola e di spirito, che indossano vestiti cuciti con le loro stesse zampe e preparano dolci da leccarsi i baf. Ogni giorno, sin dalla note dei tempi, volpi, ucceli, topi, talpe e donnole escono dale tane per andare a lavorare o a divertirsi, stringono legami di sangue e intessono raporti di amicizia, dando forma ala tenera storia dela loro vita.

Ale Cronache dela foresta sono afdati i grandiosi destini dei minuscoli animaleti che in questi boschi hanno lasciato le loro orme, mossi da spirito d’avventura, da sentimenti d’amore e dala forza del’amicizia. Sì, perché se non c’è niente di più belo che dare vita a nuovi ricordi, ancora più sodisfacente è riuscire a meterli per iscrito, così da poterli condividere con le persone a cui si vuole bene. Incrociamo forte le zampe, dunque, nela speranza che gli animali che incontrerete in queste pagine e l’avventura che state per vivere restino per sempre impressi nela vostra memoria…

Prologo

Il dono perfetto

Nella remota foresta di Invernoscuro…

“Seraphin, ho l’impressione che stiamo girando in tondo…”

“Ti sbagli, Mimì”, rispose la volpe, pulendo il binocolo dalla neve. “Siamo vicini ormai!”

Dopo il viaggio sulla Stella di Villa Corteccia, il famoso treno a vapore che collegava tutte le città del Grande Nord, Mimosa e Seraphin Volpe, esploratori e commercianti, camminavano tra i boschi innevati nei paraggi di Invernoscuro. La neve e le foglie secche nascoste dal manto bianco scricchiolavano sotto le suole fradicie e bucate dei loro scarponcini. Erano ormai tre ore abbondanti che si erano allon-

tanati dalla minuscola stazione, una baracca di legno e mattoni al capolinea della ferrovia, che i rami scheletrici degli alberi al limitare della foresta proteggevano dai venti più forti. Imbacuccati nelle loro sciarpe, marito e moglie procedevano nonostante la tempesta, animati dal più nobile dei sentimenti. Da quando avevano sentito parlare del perfetto souvenir per Bartholomé, il loro piccolo investigatore in erba, i cui polmoni erano troppo fragili per poterli seguire nei loro vagabondaggi, l’avevano cercato instancabilmente. Erano in viaggio da mesi per andare a comprare un tessuto straordinario in cui si mescolavano filo, perle e piume, ed erano sulla via del ritorno quando, dopo un incontro casuale, avevano deciso di rimandare il rientro di qualche giorno per avventurarsi nel luogo in cui l’inverno si mostrava in tutto il suo splendore: le vallate gelide e solitarie del Grande Nord! Era lì, in una bottega nascosta tra i tronchi muschiosi degli abeti, che li aspettava il più bel regalo che un volpacchiotto potesse mai desiderare. Ma una volta battuti tre colpi alla porta, e bevuta una cioccolata alla cannella, la loro richiesta non era stata accolta con favore dal proprietario del negozio.

“Poveri pazzi! Non vi accompagnerò lassù per nessun motivo!” aveva infatti sbraitato l’animale, facendo oscillare la lanterna appesa al soffitto, mentre le assi del pavimento minacciavano di ce -

dere sotto il suo corpo massiccio. “Andatevene prima che l’inverno vi divori! Andatevene, prima che vi divori IO!”

Così dicendo, lo sconosciuto gli aveva lanciato gli zaini e li aveva sbattuti fuori. Ma questo non era certo bastato a scoraggiare due avventurieri come Mimosa e Seraphin, che ora, dopo essere stati cacciati dalla bottega, avanzavano lungo un sentiero pietroso.

“Tesi e antitesi!” esclamò all’improvviso Seraphin, alzando il muso verso il cielo. “Questo pino gigantesco non mi è nuovo…”

“Sì, temo che siamo già passati di qui. Sei sicuro di non tenere la cartina al contrario? Ricorda il mercato di Sabbiadorata e lo stagno melmoso che eri ‘scientificamente’ certo di dover attraversare… Brrr, castagna matta, fa un freddo terribile!” disse Mimosa tremando e scuotendo la sciarpa per liberarla dai fiocchi di neve che vi si erano infiltrati. “Spero che arriveremo presto. Meglio trovare un rifugio sicuro prima che cali la notte: forse aveva ragione a dirci di sbrigarci…”

“Corbellerie!” la interruppe Seraphin. “Secondo i miei calcoli, se aggiungiamo il valore del coseno al vettore di trasformazione applicato alla longitudine – o forse alla latitudine? – e poi moltiplichiamo per tre la larghezza del fiume e tracciamo un cerchio con il compasso a partire da quel punto… allora siamo a poche centinaia di metri dalla nostra destinazione!

Non aver paura, mia cara Mimì, i numeri non sbagliano mai, e nemmeno i miei baf! Dovrebbe esserci un passaggio proprio dietro il bosco di larici, in fondo alla valle.”

“Be’, ecco, se ne sei sicuro, andiamo…” Man mano che si inoltravano nel bosco, il gusto della cannella svaniva dal loro palato, sostituito da quello fresco dei fiocchi di neve che a ogni respiro si ritrovavano in bocca. Passo dopo passo, gli zaini sembravano sempre più pesanti e le loro spalle s’incurvavano sotto la neve che vi cadeva sopra senza sosta. Quando finalmente arrivarono ai piedi della montagna, si accorsero con grande delusione che il proprietario della bottega diceva la verità: da quel versante il luogo che volevano raggiungere era inaccessibile – e visto che l’ingresso era bloccato da un masso, l’animale doveva averci messo lo zampino.

“Seraphin, guarda!” esclamò Mimosa con la voce arrochita dal freddo e dall’angoscia. “Laggiù, di lato, c’è un sentiero che segue il fiume! Di certo un po’ più in alto troveremo qualche anfratto dove metterci al riparo. Tanto, ormai è troppo tardi per tornare sui nostri passi…”

“Questa tempesta è incredibile!” esclamò il marito in risposta. “Supera tutte le mie precisissime previsioni meteorologiche e, se solo avessimo il tempo, potrei fare qualche rilievo che…”

Mimosa aveva smesso di ascoltarlo e aveva cominciato a inerpicarsi su per il sentiero scosceso che costeggiava le pareti di roccia, determinata a trovare un rifugio, ma con gli artigli che uscivano dai mezzi guanti e i cuscinetti delle zampe che continuavano a scivolare sulla pietra ghiacciata, si stava avviando verso la catastrofe. Nel crepaccio che tentava di attirarli a sé, il fiume si era fermato. Sotto una coltre di ghiaccio gli avannotti nuotavano con fatica nelle acque quasi immobili.

“Là, Seraphin, guarda!” esclamò Mimosa dopo una ventina di minuti che le erano sembrati un’eternità. “Nella parete c’è una caverna! Presto, mettiamoci al sic… Aaaah!”

Solo l’artiglio del marito, incastrato in una cinghia dello zaino, impedì a Mimosa di precipitare nelle tenebre impenetrabili del rifugio che aveva appena scoperto. A un passo da quell’oscurità che avrebbe potuto divorarla tutta intera, la volpe prese un gran respiro e si issò tra le braccia di Seraphin.

“Per un pelo!” gridò lui nella tempesta.

“Guarda!” lo incalzò subito Mimosa per sviare la sua attenzione. “Se leghiamo una corda su quella sporgenza, potremo scendere e metterci al riparo. Aiutami a tirarla fuori dallo zaino!”

Il vento minacciava in ogni istante di disfare il nodo della scala improvvisata a cui Mimosa e Seraphin si aggrapparono a turno. Una volta arrivati

giù, si accorsero che dall’imboccatura al fondo della caverna c’erano solo venti metri: una breve distanza, ma sufciente per spezzarsi l’osso del collo se ci fossero caduti dentro. Morire soli, inghiottiti dall’oscurità del vuoto… Cosa poteva esserci di più terribile? E da dove veniva lo strano rumore che sentivano?

“Va tutto bene, amore mio?” domandò Mimosa scrutando nelle tenebre sotto le sue zampe.

“Secondo i miei calcoli, tesoro, può darsi che sia un po’ spaventato…”

“Non avere paura, pare che laggiù ci sia qualcosa.”

“Orsù, abbiamo brancolato nel buio abbastanza a lungo”, disse Seraphin, dopo l’ennesimo brivido.

“Gli esploratori non dovrebbero vederci per potere esplorare, appunto? Fammi prendere i fiammiferi, op, tirare fuori la lampada a olio – ecco qui – e in un batter d’occhio avremo la luce! Sciò, vade retro, tenebre!”

“Seraphin, attento!” gridò Mimosa, accorgendosi che l’olio stava colando dalla lampada e si stava spargendo a terra, vicinissimo alla corda di canapa.

“Che c’è, Mimì?” disse lui, gettandosi alle spalle il fiammifero acceso.

“La corda, dietro di te!”

Ma ormai era troppo tardi. La scala di fortuna prese fuoco in un istante e, in un lampo improvviso, videro quello che si nascondeva in fondo alla caverna. Capirono allora che qualcuno, da quando erano scesi

dal treno fino a quel momento, si era preso gioco di loro, sigillando, per ragioni oscure, il loro destino tra quelle mura.

“Oh, no! Non rivedremo mai il nostro Bartholomé…”

Passare l’inverno

Nei tronchi degli alberi spogli a Villa Corteccia, e nelle tane sotterranee in cui erano ammassate noci e castagne, da qualche giorno ogni abitante aveva una sola preoccupazione: come passare l’inverno. Nella bella stagione, quando l’acqua e il sole filtravano dalle fronde, la foresta era una terra di abbondanza, ma l’arrivo del freddo spingeva gli animali a riempire i magazzini e a preparare marmellate in attesa della primavera. Nelle cucine in fermento di tutte le contee, dalle strade lastricate di Dolcepietra fino alle case arroccate di Sfiorastelle, gli abitanti profumavano i cuscini con gli aromi delle stagioni passate – cannella, cardamomo e lavanda essiccata – per dormire bene e sognare ancora meglio. Se quella mattina un visitatore curioso fosse passato di lì e avesse sbirciato

oltre le finestre della casa sotto il glicine, dove viveva la famiglia Volpe, avrebbe visto, seduto al tavolo della cucina, un volpacchiotto che, al contrario di tutti gli altri, si rallegrava per l’arrivo dell’inverno. La stagione fredda, infatti, coincideva con un evento che attendeva da molte settimane: il ritorno dei suoi amati genitori.

“Che dici, Bartholomé? Che cosa faremo di bello quest’inverno?”

“Non lo so ancora, nonno Gervais”, gli rispose il volpacchiotto, con la pelliccia disseminata di petali essiccati. “Ma, conoscendoti, tu farai scorpacciate di dolci!”

“Mmmh… sì, è molto probabile.”

“Torno subito, vado fuori a prendere qualche ago di pino.”

“Stai attento, piccolino, e copriti bene!”

Bartholomé Volpe non era un cucciolo come gli altri. C’era una grande cautela nel modo in cui posava le zampe sull’erba prigioniera della brina ghiacciata, perché non voleva schiacciare gli insetti nascosti lì, e soprattutto non voleva far preoccupare nessuno. Sotto la pelliccia fulva, i suoi piccoli polmoni faticavano a riempirsi del tutto e, nel bel mezzo dell’inverno rischiavano di non scaldarlo a dovere. Il suo minuscolo cuoricino batteva un po’ troppo veloce. Ma questo non gli aveva impedito di seguire lo zio Archibald nella sua avventura sulle tracce della storia di famiglia. E non

aveva avuto un ruolo secondario: il suo aiuto era stato decisivo! A proposito, quella figura traballante che si avvicinava con passo incerto alla casa, rischiando di far crollare da un momento all’altro la catasta di legna che teneva in equilibrio precario tra le zampe, sembrava proprio il suo zio adorato.

“Per tutte le pigne! Forse sono stato un po’ troppo ambizioso…”

Con una giacca foderata chiusa fino all’ultimo bottone e la sciarpa di flanella, l’ormai celebre proprietario della Libreria di Villa Corteccia sembrava voler dare prova della sua forza portando più ciocchi di quanti riuscisse a sostenerne. E anche se ci sarebbe stato nessuno in grado di testimoniarlo, quel tentativo – come tutte le volte che aveva provato invano a spostare montagne di libri senza farli cadere, per sistemarli più in fretta sugli scafali – si sarebbe concluso con una bufa e rumorosa valanga.

“Bartholomé, nipotino mio, sei qui? Stai attento, non vedo niente, dietro tutti questi ceppi! Aspetta un attimo”, aggiunse, abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe, “pare che un laccio si sia…”.

“Attento, zio Archibald! I legni in cima stanno per cadere!”

Per un istante Archibald pensò di potersi spostare a destra e a sinistra finché la catasta non fosse tornata in equilibrio, ma non aveva considerato le gocce di rugiada sui rami del ciliegio, che scelsero proprio quel

preciso momento per precipitare, fresche e corroboranti, nel minuscolo spazio tra la sciarpa e la pelliccia sul suo collo. Sorpreso dal morso del freddo, il libraio non riuscì a trattenere un brivido, che lo costrinse a scrollarsi il pelo come un animale selvatico! Ma subito se ne pentì: i ciocchi – sbadabam! – gli caddero addosso uno dopo l’altro. E, con un simile fracasso, nello stesso istante una scia azzurra attraversò il cielo fino a schiantarsi sulla cassetta rossa delle lettere, che emise un gemito metallico.

“Servizio postale della foresta… ecciù! C’è un pacco per te!” esclamò il nuovo arrivato, con il becco nel fango e le zampe all’aria.

“Zefiro, sei tu?” domandò Archibald, mentre il nipotino lo aiutava a rimettersi in piedi.

“Che piacere rivederti, amico mio! Cioè, non è che ti riveda nel vero senso della parola… Dove sei?”

Di nuovo stabile sulle zampette, Zefiro Cincia, il vecchio postino, spalancò le ali per abbracciare gli amici. Ma c’era qualcosa di strano…

“Perché diavolo porti una benda sugli occhi?” gli domandò la volpe, slacciandogli il nodo dietro la testa.

“Per contrastare le vertigini, ma questa soluzione ha qualche inconveniente.”

“Mi pare proprio di sì…”

“Hai per caso un pacco per noi, Zefiro?” domandò Bartholomé, infreddolito.

“Come no? Eccolo qui, Archibald: finalmente è arrivato, il tuo bambino!”

Con l’ala delicata dalle splendide piume bluastre, il postino tirò fuori dalla bisaccia un pacchetto.

“Castagna matta, che emozione!” esclamò Archibald. “Andiamo dentro ad aprirlo, e riscaldiamoci con una bella tazza di cioccolata alla cannella!

Nel salotto della casa sotto il glicine addormentato, il fuoco del camino ardeva intensamente. I tronchi degli abeti rossi, consumandosi tra le fiamme, rilasciavano un profumo fresco e dolce di resina. A casa Volpe, non appena l’autunno si avviava alla fine ci si preparava ad accogliere l’inverno. Ma anche se la si aspettava con ansia, la stagione fredda doveva rimanere fuori dalla loro dimora, e a ragione. Oltre le finestre coperte di brina, i trucioli di legno, nascosti dalle tende, impedivano all’umidità di infiltrarsi.

Dentro il forno doravano dei biscotti al burro di semi di girasole, pronti a riempire la pancia di ospiti più o meno attesi. A Villa Corteccia, come nelle altre contee, l’inverno era l’occasione perfetta per dimostrare gentilezza e ospitalità aggiungendo un posto a tavola per un visitatore inaspettato, appendendo al softto rametti di vischio per chi voleva un bacio, o tenendo una pentola di cioccolata alla cannella sempre vicina al fuoco per festeggiare l’arrivo di un pacco prezioso!

“Zefiro, prendi una fetta di torta alla carota!” disse Gervais, che non perdeva mai l’occasione per

sgranocchiare qualcosa di buono. “L’ho fatta con le carote in conserva, ma sono davvero deliziose!”

“Purtroppo, sarò costretto a rifiutare”, si scusò il postino. “Ora che ho ripreso a consegnare la posta per via aerea, devo tenere d’occhio il peso… Ecco a te, Archibald, so quanto hai aspettato questo pacco.

Quando ho visto il mittente, mi sono subito messo in viaggio!”

“Non saprò mai come ringraziarti!”

In mezzo alla tavola c’era un pacchetto indirizzato ad ARCHIBALD VOLPE, VILLA CORTECCIA, spedito dalla prestigiosa Stamperia dei Falchi, che realizzava

le copie delle opere di maggior successo da distribuire in tutta la foresta. Dentro l’involucro si nascondeva il frutto di settimane di lavoro. Infatti, nell’autunno appena trascorso Archibald aveva passato molto tempo alla scrivania, a riempire le pagine del suo romanzo segreto, mentre Celestin De Lupis, il suo nuovo socio in afari, si occupava dei clienti più esigenti.

“Spero che non mi sia scappato qualche strafalcione”, disse, timoroso, il libraio.

“Non ti preoccupare, figliolo: sono certo che sarà tutto perfetto”, lo rassicurò Gervais.

Ed era proprio così: sotto gli strati di carta velina legati con lo spago, ecco la prima, sfavillante copia dei suoi Ricordi della foresta. Sulla copertina Amanda e Ferdinando Talpa, i protagonisti della storia, si tenevano per la zampa e camminavano sorridenti tra gli alberi, ignari della tragedia che li aspettava.

Che strana emozione… pensò Archibald, mentre tutti intorno a lui si entusiasmavano davanti a quello che sarebbe stato – ne erano sicuri – il primo volume di un’apprezzatissima serie. Spero che i miei cari Ferdinand e Ruben stiano bene…

“Non vedo l’ora di leggerlo, zio Archibald!” esclamò Bartholomé. “Sono sicuro che sarà il libro perfetto da assaporare davanti al camino mentre aspetto il ritorno di mamma e papà!”

“Mi farai sapere se ti piace. Il tuo parere è importantissimo per me!”

“Forza, per festeggiare prendete tutti una fetta di torta!” insisté Gervais. “Anche tu, Zefiro. Sì, lo so, devi stare attento al peso, ma non ti preoccupare, ho la soluzione ai tuoi problemi: dopo la merenda, niente più vertigini: tornerai camminando sulle tue zampe!”

Con il muso coperto di zucchero a velo, Bartholomé non avrebbe potuto immaginare un pomeriggio migliore di quello: aveva confezionato un cuscino profumato e aveva un nuovo romanzo da divorare. Eppure, una volta calata la notte, quando si infilò sotto le coperte, il volpacchiotto si svegliò di soprassalto, convinto di aver sentito qualcuno che lo chiamava dal cuore della foresta…

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