La meta è partire. Trent’anni di storia sociale negli editoriali del fondatore di Vita

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Riccardo Bonacina LA META È PARTIRE

Trent’anni di storia

sociale

negli editoriali del fondatore di Vita

Indice

Prefazione di Ferruccio de Bortoli

Nota ai testi di Giuseppe Frangi

Caro direttore, ti scrivo

C’è Vita nella città invisibile

Tutto si compra. Anche un bambino, anche un Paese

Il nostro impegno per Sarajevo e per la libertà

Il silenzio di Langer e il clamore di Greenpeace

La libertà, la retorica e Muccioli

Alla ricerca della notizia perduta: la vita

Lo scandalo di una bambina disabile e felice

Caro Avvocato, caro Romiti

Cari politici, più società fa bene allo Stato

Kosovo. Perché non si può più stare a guardare

Quando lo Stato apre alla società

Perché la solidarietà non teme il mercato

La nostra sfida, Vita sarà più vostra

La lezione di Havel, politica e società

Cari lettori, vi lanciamo una sfida

Tra il surfista e il molleggiato chi ci perde è il trapiantato

I volontari 10 anni dopo, meno apparati e più libertà

Dopo l’11 settembre: il tricolore non sarà il nostro chador

Terzietà fa rima con Terzo Settore

La democrazia degli egoisti

Molise, la giostra dei numeri

Tom Benetollo, l’uomo del fare

Quel “noi” di cui ha bisogno il mondo

Scuola. Non passi lo straniero

Parigi e New Orleans due welfare in crack

Perché gridare viva le coop

Schierati sì, ma senza partito

Non si governa contro. Si governa per

Benigni, Dante per fare i conti con il male

La colpa degli zingari? Esser nati zingari

Domanda: a che figli lasceremo questo mondo?

Se è lo Stato a produrre la Società. Parliamone

L’invito di Benedetto XVI: non profit fuori dai recinti

L’Aquila, la comunità come opera pubblica

Brenda e le altre: sotto il clamore, niente

Nel 2011 il volontariato sarà cosa da museo?

La politica? Si rinnoverà solo per una spinta dal basso

L’Europa senza più anima resta senza voce

L’Occidente e Gheddafi. Il valzer delle ipocrisie

Innovazione e attivazione. Vita volta pagina

Un nuovo magazine e la nuova sfida digitale. Per essere utili ai costruttori di società

Perché Monti ha brutalizzato il welfare

Un’estate #noslot

È sempre possibile ricominciare

Caro Terzo Settore, non ti chiamerò più così

“Rompete le scatole”, invito a fare

Impresa sociale, “qui la meta è partire”

Cambiare si può. Il caso di due proposte nate dal basso

Terzo Settore, la scommessa della felicità

Chiese, non profit, sindacati, cosa siete disposti a dare per un progetto di cooperazione con l’Africa?

Innovare l’idea di giornale, per raccontare l’innovazione

I tre sogni che la riforma rende possibili

Un’idea d’Italia da difendere

Ong in mare e il reato di solidarietà

#iostoconvita. Una nuova stagione per il non profit: la produzione di valore

#noslot. Così l’azzardo legale devasta le comunità

Intelligenza Artificiale. Qui ci vuole un pensiero

Un giornale unico e necessario. Per il bene comune

Evviva le ONG! Ecco perché

25 anni. I tre criteri su cui si è retta l’avventura di Vita

Papa Francesco, la vera immunità è la comunità

Se chi governa se ne infischia dell’infanzia

Il pensiero sociale che ancora manca

Il ritorno delle caste, l’aggravarsi delle diseguaglianze. Che fare?

Volontariato, parte una campagna senza confini

Il reddito di cittadinanza strangolato tra due ideologie

Davanti alla guerra, una sola certezza, l’abbraccio a chi soffre

Non chiamiamoli più “corridoi umanitari”

Il seme della pace possibile

Da Kiev a Strasburgo, il metodo MEAN

Lezioni dal caso Ferragni. Care non profit, non fatevi usare

Borghi futuri, un’Italia che riparte dal basso

Commosso di come Vita continui il cammino

Postfazione di Carlo Borgomeo e Stefano Consiglio

Prefazione

L’ego dei giornalisti è spesso smisurato. Incontenibile. Non di rado amano sovrapporsi alla realtà che devono descrivere, fino al punto di volerla cambiare. Alcuni, grazie a questa naturale tendenza, sono diventati dei grandi romanzieri. Non farò nomi. Poi per fortuna ci sono anche i cronisti veri (sempre meno oggi), un po’ missionari e un po’ esploratori. Sono coloro che rifiutano l’idea –assai difficile da combattere – che vi sia più romanzo nel male che nel bene. Ma il bene non è noioso, né insipido. Tutt’altro. Riccardo Bonacina apparteneva a questa minoritaria – ma nobile – schiera di colleghi: giornalisti appassionati della realtà, impegnati a comprenderla con umiltà e abnegazione. Per farla capire, ed eventualmente amare, da un pubblico di lettori sempre più distratto e corrotto dallo spettacolo vacuo dell’effimero.

La realtà non è lo specchio di noi stessi. Perché non vediamo, o facciamo finta di non vedere, lo sterminato bacino delle sofferenze che ci circonda? Forse perché il dolore interroga le nostre coscienze, le smuove, a volte le sbatte persino contro il muro dell’indifferenza? Ma ci sono anche l’impegno dei tanti, lo spirito di sacrificio di chi assiste, di chi amorevolmente cura. Un capitale sociale di immenso valore, l’architrave delle nostre comunità.

Riccardo ricordava una frase profetica di Giovanni Testori, amata anche da don Luigi Giussani: “Amate la realtà sempre e in tutti i modi, fuggite le astrazioni. Fate parlare la realtà, la vita, cercatela lì la parola, fatela scaturire da lì”.

Una grande professione di umiltà.

Nel leggere gli editoriali dell’ormai lunga storia di Vita – creatura prediletta di Riccardo – mi è venuta in mente l’autobiografia di Luigi Pintor. Non per i contenuti, bensì per il suo titolo: Servabo. Che vuol dire: terrò fede, ma soprattutto sarò utile.

La parola latina riassume il senso dell’etica professionale e dell’impegno civile. Lo esalta. Al di là di quelle che possono essere le idee politiche, la coscienza di operare per il bene della comunità fa grande una società, la rende più giusta e consapevole. Sarebbe riduttivo dire che Riccardo è stato il principale interprete dell’identità del Terzo Settore – definizione che, peraltro, non gli piaceva tanto. E giustamente. Perché dà l’idea che il mondo del volontariato venga dopo il pubblico e il privato e ne sia il risultato residuale. Quello che rimane. No: il mondo del sociale è ciò che innerva il tutto. Senza comunità forti e solidali non ci sarebbero nemmeno il mercato, nella sua accezione liberal-democratica – ovvero fatto di regole e trasparenza – e lo Stato nella sua dimensione civile, una costruzione in cui il diritto tempera la forza, soprattutto quella economica. Se non si avrà il senso della comunità, si perderà l’idea stessa dello Stato di diritto, che è tale proprio perché non dimentica nessuno. Il volontariato, l’offrirsi disinteressatamente agli altri, dà significato al tutto. Dà vita. E Vita è nata anche per questo.

Nel 2009, Bonacina si rammaricava del fatto che l’enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate, avesse appassionato così poco nonostante il suo messaggio rivoluzionario. Ovvero quello di elevare di fatto il settore non profit a baluardo della socialità, a caposaldo della dottrina sociale della Chiesa, a beneficio degli ultimi che non sono mai – come diceva Francesco al quale Riccardo dedicò un commosso pamphlet, Io avrò cura di te, in segno di ringraziamento per il suo impegno a favore del volontariato – scarti o rifiuti.

Bonacina citava spesso Sant’Agostino. Al Giubileo dei giovani, nell’agosto del 2025, sono rimasto colpito e commosso da tanti ragazze e ragazzi uniti da un impegno civile oltre che religioso. Una frase dell’agostiniano Leone XIV – che a Riccardo sarebbe piaciuta – mi ha particolarmente impressionato quella sera: “Chi crede non è mai solo”. L’assenza di fede alimenta

le solitudini, indurisce i cuori, a volte li separa per sempre. Riccardo ricordava con affetto – siamo nel 2004 – la figura di Tom Benetollo, anima dell’Arci e pacifista nel cuore e nell’azione politica. Lo definì “un uomo del fare animato da una tenace dolcezza”. Riccardo aggiungeva la consapevolezza che, per aiutare gli altri, bisogna stare caparbiamente insieme a loro. Non ergersi a guide spirituali, né a capicorrente, né trattarli da sudditi o peggio da ignoranti. “Saper stare nel proprio tempo e raccontarlo tutto intero, riconoscendo il bene senza tacere dell’inferno”.

Il grande progetto di Vita è la sua eredità più preziosa.

Un’avventura cominciata “senza padroni né protezioni”, ma con tanti alleati nell’universo del volontariato cattolico e laico, per dare voce a un mondo che “al rancore, alla lamentela e alla delega preferisce la costruzione e la proposta”.

La “meta è la partenza” scriveva Giuseppe Ungaretti. Noi ripartiamo dall’insegnamento di Riccardo, rimpiangendolo.

Nota ai testi

Questo libro raccoglie una selezione degli editoriali di Riccardo Bonacina, scritti per Vita nell’arco di 30 anni. Vita è una rivista nata come settimanale nell’ottobre 1994, su intuizione e iniziativa dello stesso Bonacina, grazie all’alleanza fra un gruppo di giornalisti e un gruppo di organizzazioni sociali del Terzo Settore. Nel tempo, Vita si è affermata come infrastruttura di innovazione del mondo di riferimento e come fattore di cambiamento per la coscienza pubblica del Paese, favorendo l’emergere della società civile organizzata e il suo riconoscimento anche legislativo. Nel 1997 è stato inaugurato il primo pionieristico portale online. Dal 2012 il giornale cartaceo è diventato mensile.

In alcuni degli editoriali pubblicati si trovano riscontri puntuali di questi cambiamenti, di cui Bonacina dà conto ai lettori in un’ottica da vera public company partecipata, fondata sulla convinzione che l’informazione sia un bene pubblico per eccellenza.

Gli editoriali sono quasi sempre parte integrante del numero di Vita per cui sono stati scritti, nel senso che fanno riferimento a temi trattati da articoli pubblicati nello stesso numero, o al tema di copertina. Non abbiamo ritenuto necessario aggiungere note esplicative poiché l’approccio di Bonacina è sempre tale da rendere in modo sintetico gli aspetti sostanziali del lavoro giornalistico pubblicato all’interno.

I testi sono stati mantenuti, con poche eccezioni, nella loro forma originaria. In tre casi si è scelto di conservare anche i riferimenti a link – oggi evidentemente non più attivi – che ben

esprimono il “metodo Bonacina”, sempre proteso a coinvolgere i lettori e a chiamarli a un impegno condiviso su campagne di particolare importanza. I link, nella loro forma, restituiscono anche l’idea di un’intuizione davvero pionieristica rispetto alla forza mobilitante del Web. Anche i titoli, con poche eccezioni, rispecchiano quelli originali.

Gli editoriali rivelano anche la curiosità culturale di Bonacina, che arricchisce in tanti casi i suoi testi con citazioni di letture antiche o recenti, a testimonianza di una passione letteraria e teatrale sempre coltivata. È proprio da una di queste citazioni che è stato tratto il titolo del libro La meta è partire, verso di Giuseppe Ungaretti tratto dalla poesia Lucca, inclusa nella raccolta L’allegria (1914-1919).

Riccardo Bonacina, oltre che fondatore di Vita, ne è stato direttore responsabile fino al 2001. Dopo quella data ha rivestito la carica di direttore editoriale e successivamente di presidente. Nel 2001 la direzione giornalistica è passata al sottoscritto; nel 2018 è subentrato Stefano Arduini, giornalista che si è formato nella fucina di Vita.

Lo spirito di squadra è sempre stato uno degli elementi caratterizzanti l’esperienza di Vita. In alcuni casi gli editoriali sono scritti a quattro mani, come quello del numero di aprile 2016, che ho firmato con lui e dedicato alla presentazione della nuova, innovativa formula della rivista, trasformata – su sua intuizione – in una bookazine, ovvero numeri monografici mensili. “Sino a qui, noi; ora tocca a voi”: così si chiudeva quell’editoriale, una sollecitazione ai lettori a non pensarsi semplicemente come tali, sollecitazione che più volte si ritrova nei testi raccolti in questo libro, coerente con l’idea di un giornale inteso come strumento di cambiamento e di costruzione sociale.

La meta è partire

27 ottobre 1994

Caro direttore, ti scrivo

Dalla prossima settimana questa pagina sarà a vostra disposizione. Vita è, infatti, un giornale senza editoriale. Non c’è perché Vita non nasce per propagandare qualche idea o filosofia. Non abbiamo padroni che debbano lanciare qualche prodotto o cercare consenso per qualche nuova o antica formazione politica. Vita nasce per raccontare la realtà di milioni di cittadini che oggi non sono rappresentati, non sono visibili nel gran circo dei mass media, occupato a raccontarci i veleni o le chiacchiere dei Palazzi.

Noi crediamo, invece, che la vita concreta di migliaia e migliaia di persone, di gruppi, di associazioni, di movimenti, sia la sola realtà che oggi vale la pena di raccontare. È una vita ricca, densa, energica, piena di difficoltà e, insieme, di tensioni ideali, piena di iniziative di progetti, di opere concrete. Per questo, già da pagina tre, sarete voi a scrivere il giornale: con lettere, interventi, che facciano irrompere nel dibattito brani reali, concreti, della nostra vita di ogni giorno, della vita delle nostre famiglie, delle nostre città. È solo la prima di tante pagine che scriveremo insieme a voi, lettori che ci sostenete, che ci leggete. Tra la redazione e i lettori, in questo giornale, davvero non c’è di mezzo niente. Se non una pagina bianca da scrivere assieme. Far nascere un’impresa editoriale senza protezioni e dalla parte della vita è stato per noi un atto di coraggio che affidiamo alla tua passione per un’informazione libera e civile.

Ora tocca a te.

23 marzo 1995

C’è Vita nella città invisibile

Adesso anche noi siamo su Internet, la rete, l’autostrada informatica che mette in contatto uomini di tutto il mondo attraverso collegamenti telematici. Ogni settimana Vita non sarà solo nelle 48 pagine di carta riciclata da comprare in edicola, ma anche in pagine elettroniche che potrete trovare sul vostro computer. Basta che diventiate abitanti della “Città invisibile”. Per farlo non è necessario chiedere cittadinanza a una qualche autorità: basta aderire a Internet, un mondo di informazioni, messaggi, amori, banche dati, giochi, appelli, battaglie via computer-telefono, dove potete bighellonare e quindi entrare, a vostro piacimento, nella “Città invisibile”. Il suo indirizzo informatico è, sul Web, “http://www.citinv. it”. Lì troverete gli articoli più importanti di Vita, assieme a quelli di altre pubblicazioni come Cuore e I siciliani.

La “Città invisibile” si definisce “un’associazione culturale nel cyberspazio di lingua italiana”. È nata il 26 novembre 1994 dall’opera gratuita e volontaria di un gruppo di assidui naviganti di Internet dislocati in vari Paesi del mondo. Vuole fornire, senza costi per chi ne fruisce, servizi quali il “supporto a testate giornalistiche per la diffusione di informazioni tramite Internet”, nonché la “diffusione di comunicazioni di movimenti politici, sindacali, culturali”, e la “creazione di aree di dibattito su argomenti relativi all’Italia”.

Quindi c’è Vita anche nel cyberspazio.

Abbiamo deciso di abitare anche noi nella “Città invisibile” perché ci sembrava che alle battaglie del nostro settimanale l’edicola stesse stretta. Adesso portiamo le voci delle associazioni e dei

movimenti di impegno civile in ogni parte del globo. E ci sembrava indispensabile partecipare a questo esperimento di democrazia telematica che è Internet: la democrazia del futuro. Gli ultimi della terra sono già fra i primi nel regno della telematica.

20 maggio 1995

Tutto si compra.

Anche un bambino, anche un Paese

Minori. In poco più di sei mesi di storia, questo settimanale ha dedicato sei copertine a loro. Una copertina al mese dedicata ai minori, ai bambini. Insieme a Telefono Azzurro abbiamo presentato al governo e ai ministeri competenti un documento, sottoscritto da sessanta associazioni, in cui si richiedono sei impegni urgenti. Com’è nostro costume, talloneremo e giudicheremo l’esecutivo sugli impegni concreti che saprà prendere e attuare.

Anche questa settimana ci occupiamo di bimbi, bambini comprati e venduti. È uno degli aspetti più inquietanti, meno tollerabili, che abbiamo incontrato nel nostro lavoro di inchiesta in questi mesi. Sapere che esiste un mercato sulle adozioni internazionali che si nutre di tanti egoismi: gli egoismi di coppie affaticate, gli egoismi di avvocati in cerca di facili guadagni, gli egoismi di legislatori indifferenti. Sapere che esiste un mercato ai confini della legalità, di cui si chiacchiera, di cui tutti parlano, ma su cui nessuno interviene. Due giornalisti di Vita si sono mossi per svelare i meccanismi di questo mercato delle adozioni. A noi il compito di sollevare il velo sul traffico di bambini dai Paesi poveri; ora la parola passa ai magistrati che vogliano indagare.

Banche. Sabato 13 maggio ho avuto l’onore di partecipare alle celebrazioni per il quarto centenario della nascita – per bolla papale – della Compagnia di San Paolo. A conclusione del convegno è intervenuto il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ha affermato: “Certi giorni, al Quirinale, provo un senso di ribellione. Quando tutto sembra dipendere dal denaro, dalla moneta,

dall’astrazione finanziaria. Bisogna avere il coraggio di dire che c’è violenza nelle armi e c’è la violenza della moneta. C’è la furbizia di chi approfitta dei poveri, e anche dei ricchi...”.

Parole dure, parole di pietra, che sono risuonate di fronte a una platea insolita, fatta di volontari e banchieri. Parole pronunciate –forse non a caso – nelle sale del Gruppo San Paolo, teatro in queste settimane di uno scontro decisivo per la democratizzazione del sistema creditizio italiano. Parole pronunciate – forse non per caso –nella capitale di una regione martoriata: prima dal fango, poi dallo Stato, infine dalle banche.

Non troppi giorni fa il cardinal Giacomo Biffi ha detto: “L’esorbitanza del potere finanziario che si fa sempre più esteso, più avido, più deciso a inseguire i propri vantaggi. Il problema della concentrazione della finanza è almeno altrettanto decisivo della concentrazione di poteri nel campo dell’informazione”. Il Presidente e il cardinale sottolineano un tema davvero decisivo nella costruzione di una democrazia effettiva in questo Paese. Da questo numero, con inchieste, servizi, interviste, daremo il nostro contributo.

Mi riguarda. Una frase di un giovane volontario mi ha colpito nel corso di un dibattito cui ho partecipato in un quartiere periferico di Milano. “Ad un certo punto mi sono ribellato all’idea che tutti cercano di inculcarci: niente dipende da te, è inutile che tu ti dia da fare, tanto non decidi tu. Ad un certo punto ho capito che la vita, mia, di chi mi sta intorno, del mio quartiere, mi riguardava e che anch’io potevo esserne responsabile. O è così o siamo schiavi inconsapevoli. Per questo dobbiamo ribellarci ad un sistema di informazione e di comunicazione che, senza differenze sostanziali, trasformano il popolo in spettatori, le persone in audience da vendere a peso al miglior offerente”. Vero, verissimo, parole più decisive di centinaia di dibattiti sull’informazione.

3 giugno 1995

Il nostro impegno per Sarajevo e per la libertà

C’è qualcosa di osceno nei telegiornali nostrani di queste settimane: Berlusconi, Dell’Utri, e ancora Dell’Utri e Berlusconi. Le sparate di Bossi e la glorificazione di Mantova, baciata dalla Lega e dalla Lotteria.

C’è qualcosa di osceno nel modo con cui l’Europa ha voluto spettacolarmente lavarsi la coscienza premiando a Cannes due film sulla tragedia della ex Jugoslavia (“Underground” di Emir Kusturica, Palma d’oro, e “N’oublie pas que tu vas mourir” di Xavier Beauvois, Premio speciale della giuria, ndr).

C’è qualcosa di irresponsabile nelle tesi di Montanelli che ha individuato nei cromosomi balcanici la vocazione all’eccidio. Sulle pagine di qualche giornale, i quattro anni di massacri in Bosnia sono persino diventati spunto per l’ennesima finta querelle politica tra destra (pacifista?) e sinistra (interventista?).

È oscena questa irresponsabilità, questo menefreghismo con cui si sta a guardare una tragedia lunga quattro anni, che ci riguarda persino fisicamente: mille soldati italiani sulle coste pugliesi, le basi NATO sul nostro territorio in stato di allerta, il Mar Adriatico zeppo di portaerei americane. Il tutto a pochi chilometri dalle spiagge di Rimini e di Riccione. “L’Adriatico in fiamme” era il titolo della nostra copertina di tre settimane fa, e il manifesto ci ha fatto eco con un sapiente “II Golfo Adriatico”, un titolo che fa riaffacciare alla memoria la tragicamente nota Guerra del Golfo.

Eppure, anche il Governo italiano, da molti mesi ormai, sembra non avere voce chiara in politica estera, come se l’Italia da tempo si

affacciasse sul Mare del Nord. E l’ONU continua a essere la scusa mondiale per non dare inizio a una decisa, inequivocabile, ferma azione diplomatica per la pace. Solo il Papa alza la sua voce e dice da Piazza San Pietro: “Dio domanderà un giorno: che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo”.

In questo numero anche noi raccogliamo una voce: la voce di un gruppo di artisti che da quasi quattro anni vive sotto le bombe, a Sarajevo, dove ogni giorno vengono uccisi uomini, donne e bambini. Ci mandano delle cartoline capaci di farci arrossire. A una di queste cartoline abbiamo dedicato la nostra ultima pagina, che si trasforma in un manifesto da appendere ovunque. “Io voglio proprio te per salvare Sarajevo”, è scritto sulla cartolina-manifesto che sbeffeggia la chiamata alle armi di tradizione statunitense.

Cari lettori, la libertà di stampa, il pluralismo nell’informazione non lo si conquista né schierandoci, né ascoltando dibattiti televisivi in cui non siamo mai protagonisti, né barrando con un sì o con un no un quesito referendario sostanzialmente inutile.

Cari lettori, la libertà di informazione è una somma di piccoli atti di libertà: la libertà di chi fa i giornali e di chi li sceglie. Dopo sette mesi di storia, l’unica ricchezza di questo giornale è proprio la sua libertà. Non dobbiamo ringraziare nessuno – né partiti, né potenti – per il fatto di esistere ed essere cresciuti. Non abbiamo chiesto né favori, né elemosine per poter essere liberi di raccogliere tutte le vostre denunce e segnalazioni, e per essere liberi di raccontare le innumerevoli iniziative positive che mettete in atto ogni giorno. La nostra breve storia è fatta solo dal nostro entusiasmo e dalla vostra libera scelta. Ma per crescere ancora abbiamo bisogno che gli atti di libertà si moltiplichino. Il nostro obiettivo è raddoppiare. Ognuno di voi regali alla sua libertà un abbonato, un nuovo lettore.

Contattateci.

15 luglio 1995

Il silenzio di Langer e il clamore di Greenpeace

Alex Langer e Greenpeace. Ovvero, il silenzio e il clamore. Le battaglie difficili e le azioni mass mediologiche. Con Langer dovevamo incontrarci la settimana scorsa, a San Giovanni al Natisone. Una conferenza a pochi chilometri dal confine con l’ex Jugoslavia per discutere di impegno e responsabilità con 500 giovani della diocesi di Udine. Alex ci ha lasciati solo tre giorni prima di quell’appuntamento. Da allora abbiamo continuato a interrogarci sul senso di quel vuoto, di quella partenza voluta, di quegli appunti lasciati – e di quelli che siamo andati a scovare: dagli amici, da quelli veri, quelli che hanno condiviso con lui battaglie, successi, sconfitte, tenerezze e gioie.

Continuiamo a interrogarci per noi e per Alex. Abbiamo cestinato con fastidio le stupide dichiarazioni dei Ripa Di Meana e dei Mattioli. Non riusciamo neppure ad unirci al coro degli adulatori di “Greenpeace-Camel Trophy Adventures” malgrado proprio lo scorso numero vi avessimo invitato a protestare contro la ripresa degli esperimenti nucleari francesi. Preferiamo soffermarci a riflettere sugli interrogativi profondi che il suicidio di Langer ci impone: sul nostro essere al mondo, sul nostro modo di abitarlo, su come costruire quello di domani. Per questo, ad Alex abbiamo dedicato le due copertine del giornale e un ampio servizio. “Forse è troppo essere portatori di speranza... troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere”, scriveva Langer. Un ragazzo di sedici anni, a Udine, ha risposto così alla fatica di Alex: “Non possiamo caricarci sulle spalle il mondo. Il mito di Atlante era

appunto un mito. Invece di prenderci il mondo in spalla dovremmo accettare di essere portati sulle spalle da qualcuno più grande di noi. Diventeremmo allora portatori di speranza perché portatori di misericordia, verso noi stessi e verso gli altri. E più semplice, per questo oggi è così difficile”.

Solo qualche giorno dopo abbiamo scoperto che Langer era affascinato dalla figura di San Cristoforo, il santo che aveva preso sulle sue spalle il Dio bambino. Atlante e San Cristoforo: la figura mitica che si carica il mondo sulle sue spalle, e l’uomo che prende su di sè il senso della vita. Due maniere diverse di essere portatori di speranza. Chissà quante volte Langer avrà pensato a queste due figure, nei suoi viaggi di andata e ritorno da Tuzla, Srebrenica, Sarajevo, le città dove ogni giorno si scappa, si è violentati e si continua a morire. Per Alex Langer, la politica era visione dei problemi mai disgiunta dagli atti concreti, era capace di occuparsi di 80 profughi e del loro singolo destino, era capace di regalare 800 abbonamenti a una piccola rivista a tutti i suoi amici, era capace di vincere con competenza battaglie al Parlamento europeo come quella sulla manipolazione genetica. Sempre evitando scorciatoie partitiche e rassicurazioni ideologiche. Noi non sappiamo se Atlante c’entri con il suicidio di Alex. Preferiamo ricordare il brano di una lettera arrivata qualche anno fa a un grande sacerdote milanese che diceva: “Sono tante le cose che fanno vibrare il cuore. Ed è per questo che poi, si muore”. Devono aver pensato così anche i 500 sedicenni udinesi che hanno ricordato Langer con un lunghissimo, intenso applauso.

Ecco il tema vero che abbiamo cercato di mettere al centro della nostra storia: la realtà. Saper stare nel proprio tempo e raccontarlo tutto intero. Riconoscendo il bene senza tacere dell’inferno. Una passione per la realtà intera; nasce da questo la storia di Vita. Non nasciamo per dare buone notizie o per proporre le retoriche del lato positivo. Non ci interessava la pur apprezzabile battaglia per le quote di bontà nell’informazione. Siamo nati non da un’idea ma da una passione, non avevamo idee da propagandare, volevamo solo andare incontro alla realtà per raccontarla.

Euro 20,00 (I.i.)

ISBN 979-12-5626-029-4

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La meta è partire. Trent’anni di storia sociale negli editoriali del fondatore di Vita by edizioni la meridiana - Issuu