Nuove favole di libertà

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a cura di

ANNA DE GIORGIO

DAMIANO FRANCESCO NIRCHIO

ILARIA DE VANNA

NUOVE FAVOLE

DI LIBERTÀ

Di Padre in Figlio

a cura di

Anna de Giorgio

Damiano Francesco Nirchio

Ilaria De Vanna

NUOVE FAVOLE

DI LIBERTÀ

Di Padre in Figlio

Postfazione di Lea Durante

edizioni la meridiana

Un libro pubblicato è sempre una buona notizia

Un libro che si legge è una notizia eccezionale.

Però poi c’è la dimensione della scrittura. In questo caso, nella forma dell’autonarrazione “ per simboli”, cioè attraverso l’invenzione di favole. E poi c’è il progetto, che come dice il saggio, è elemento più fondante ancora, in quanto tragitto della meta da raggiungere. E, ancora, c’è la dimensione collettiva, che eleva l’esperienza a valore assoluto (come in tutte le circostanze in cui c’è di mezzo la condivisione). Genitori con vissuti diversi si cimentano con i racconti ai figli. Possibile pensare che nel momento magico del passaggio dalla fase ideativa a quella creativa, i figli fossero poi quelli di tutti e di ciascuno dei partecipanti.

Cade il pre-giudizio, franano le distinzioni, crollano le barriere. Quando è così, il progetto, il nostos, ha conseguito il suo risultato. La meta, l’approdo (cioè la pubblicazione) sono naturalmente secondari, persino superflui, ma preziosi per chi avrà il privilegio di coltivare la condivisione, fino alla lettura.

Piero Rossi

Garante Regionale dei Diritti delle Persone sottoposte a misure restrittive della Libertà Regione Puglia

Di Padre in Figlio di Ilaria De Vanna 9

Nuove favole di libertà: per un ’epica dell’amore di Anna de Giorgio e Damiano Francesco Nirchio 21

Un codice paterno per un ’alba possibile di don Michele Petruzzi

Tiko e la gabbia invisibile

Cuore di leone

Il Sogno di Vanni

DI PADRE IN FIGLIO

di Ilaria De Vanna1

Il progetto “Di Padre in Figlio” è stato realizzato grazie al contributo dell’Ufficio del Garante delle Persone Private della Libertà Personale della Regione Puglia. Nasce come visione della Cooperativa C.R.I.S.I., in collaborazione con l’Associazione Culturale SENZA PIUME, con il sostegno della Caritas diocesana Conversano-Monopoli attraverso la raccolta della Quaresima 2025 e con il supporto della Casa Circondariale di Turi.

Il progetto nasce come una doppia sfida.

Restituire dignità alla paternità detenuta

La prima, e più urgente, sfida che il progetto “Di Padre in Figlio” si è proposto di affrontare riguarda la restituzione della dimensione genitoriale ai padri detenuti.

In un sistema che troppo spesso riduce l’individuo alla sola etichetta del reato commesso, questi uomini si trovano spogliati non solo della libertà fisica, ma anche della loro identità più profonda e significativa: quella di essere padri.

La società contemporanea tende a operare una drammatica semplificazione dell’identità del detenuto, appiat-

1 Responsabile scientifica e curatrice del progetto. Cooperativa C.R.I.S.I.

tendola sulla singola azione criminosa che lo ha condotto in carcere. Questa riduzione identitaria produce effetti devastanti non solo sull’individuo, ma anche sull’intero tessuto familiare e sociale che lo circonda. Il padre detenuto diventa, agli occhi della comunità e spesso ai propri, semplicemente “il criminale”, perdendo ogni altro aspetto della sua personalità, della sua storia, delle sue relazioni e dei suoi ruoli sociali.

Il progetto si è posto l’obiettivo ambizioso di spezzare questa catena di stigmatizzazione, offrendo ai padri detenuti di riscoprire e riappropriarsi della loro dimensione genitoriale. Attraverso un percorso strutturato di consapevolezza e riflessione, questi uomini hanno avuto l’opportunità di esplorare il significato profondo della paternità, di riflettere sul loro ruolo di padri al di là delle circostanze che li hanno condotti in carcere, e di riconnettersi con quella parte di sé che la detenzione rischiava di cancellare.

Questa riappropriazione identitaria non rappresenta solo un beneficio per i diretti interessati, ma costituisce un elemento fondamentale per il processo di reinserimento sociale. Un uomo che riscopre la propria dignità di padre, che riconosce il valore del proprio ruolo paterno e che sviluppa consapevolezza rispetto alle proprie responsabilità educative, è un individuo che ha maggiori possibilità di ricostruire un progetto di vita positivo e di contribuire costruttivamente alla società.

Valorizzare risorse educative

La seconda sfida del progetto tocca una questione ancora più complessa e articolata: la valorizzazione del contributo paterno all’interno della comunità educante.

In un ’ epoca caratterizzata da una profonda crisi educativa, in cui i giovani manifestano un bisogno sempre più urgente di figure adulte di riferimento, diventa essenziale ripensare radicalmente il concetto stesso di risorsa educativa.

I giovani di oggi crescono in un contesto sociale frammentato, caratterizzato da modelli di riferimento spesso fragili o contraddittori. L’esigenza fondamentale che emerge dalle nuove generazioni è quella di incontrare adulti capaci di offrire presenza autentica, risposte concrete, esempi credibili e coordinate stabili per orientarsi nel complesso percorso della crescita personale e della costruzione identitaria.

Di fronte a questa urgenza educativa, il progetto “Di Padre in Figlio” ha operato una scelta coraggiosa e controcorrente: ha deciso di guardare oltre le etichette sociali per scoprire risorse educative là dove la società convenzionale non oserebbe cercarle. Proprio quegli individui che la comunità tende a classificare come “cattivi esempi”, come persone inaffidabili o sbagliate, possono rivelarsi, attraverso un processo di consapevolizzazione e valorizzazione, risorse educative insospettabilmente preziose ed efficaci.

Questa intuizione si basa su decenni di lavoro con la complessità della natura umana e del processo educativo. Spesso, infatti, coloro che hanno attraversato esperienze di difficoltà, di errore, di caduta, possiedono una saggezza e una consapevolezza che derivano proprio dal confronto diretto con le conseguenze delle proprie scelte. La loro testimonianza può risultare particolarmente autentica e credibile per i giovani, che riconoscono in questi adulti una genuinità e una profondità umana che non sempre trovano in figure educative più convenzionali.

Il ruolo maschile e paterno, in particolare, assume in questo contesto una valenza speciale. In una società che spesso fatica a definire e valorizzare la specificità del contributo maschile all’educazione, il progetto ha dimostrato come la paternità possa esprimersi attraverso infinite sfumature e modalità, tutte potenzialmente preziose per la formazione delle nuove generazioni.

La visione e l’operatività

Il progetto “Di Padre in Figlio” è risultato vincitore di un bando promosso dal Garante Regionale delle Persone Private della Libertà Personale della Regione Puglia, specificamente dedicato al sostegno alla genitorialità delle persone detenute. Questo riconoscimento rappresenta non solo una validazione dell’approccio metodologico adottato, ma anche un segnale importante della crescente sensibilità delle istituzioni verso tematiche particolarmente significative.

Per visione e approccio metodologico si è scelto di rivolgersi agli ospiti dell’Istituto di pena fondamentalmente in quanto padri e non in quanto detenuti. Questa distinzione, apparentemente sottile, rappresenta in realtà un cambio di paradigma fondamentale nella concezione stessa dell’intervento in ambito penitenziario.

Tradizionalmente, infatti, i progetti rivolti alla popolazione detenuta tendono a partire dalla condizione di detenzione come elemento centrale e definitorio dell’identità dei partecipanti. Questo approccio, pur comprensibile dal punto di vista logistico e organizzativo, rischia di rafforzare proprio quella stigmatizzazione che dovrebbe invece contribuire a superare.

Il progetto ha operato una scelta radicalmente diversa,

decidendo di mettere al centro dell’intervento l’identità paterna dei partecipanti, considerando la condizione di detenzione come un elemento contestuale ma non definitorio. Questo approccio ha permesso di creare sin dall’inizio un clima relazionale diverso, in cui i partecipanti sono stati riconosciuti e valorizzati prima di tutto come padri, con tutto il bagaglio di esperienze, competenze, responsabilità e potenzialità che questo ruolo comporta.

L’innovazione metodologica: il coinvolgimento dei padri “liberi”

Per rafforzare ulteriormente questo approccio innovativo e per garantire una dimensione davvero universale alla riflessione sulla paternità, il progetto ha previsto una componente metodologica particolarmente significativa: il coinvolgimento di un gruppo di padri “liberi” nelle attività di scrittura autobiografica e di creazione delle fiabe.

Questa scelta rappresenta un elemento di assoluta originalità nel panorama degli interventi in ambito penitenziario. Solitamente, infatti, i progetti rivolti alla popolazione detenuta si svolgono esclusivamente all’interno delle mura carcerarie, creando inevitabilmente una separazione netta tra il “dentro” e il “fuori”, tra la condizione di detenzione e la vita sociale normale. Il coinvolgimento dei padri liberi ha permesso di superare questa dicotomia, creando uno spazio di incontro e di confronto in cui l’esperienza della paternità potesse essere esplorata e condivisa al di là delle circostanze contingenti che caratterizzano la vita dei partecipanti. L’idea di fondo era quella di raccogliere

percorsi e testimonianze di paternità e genitorialità che potessero raccontare in maniera trasversale, e al di là dei contesti o delle etichette, l’esperienza universale di “ essere padre”.

Questa scelta metodologica ha prodotto risultati straordinari dal punto di vista dell’efficacia dell’intervento. I padri detenuti hanno avuto l’opportunità di confrontarsi con esperienze di paternità simili alle loro, di riconoscere elementi comuni nelle storie degli altri, di sentirsi parte di una comunità più ampia di padri che condividono gioie, preoccupazioni, difficoltà e aspirazioni simili.

Allo stesso tempo, i padri liberi hanno avuto l’opportunità di incontrare e conoscere realtà diverse dalla loro, di superare pregiudizi e stereotipi, di scoprire la ricchezza umana che può celarsi dietro etichette sociali negative. Questo incontro ha rappresentato un ’ esperienza di crescita e di arricchimento per tutti i partecipanti, dimostrando come la paternità possa costituire un terreno di incontro e di dialogo che supera le barriere sociali e culturali.

Il progetto “Di Padre in Figlio” ha cercato di essere più di un’iniziativa di sostegno alla genitorialità o di reinserimento sociale. Si è costruito come un ’esperienza di profonda umanizzazione e scoperta, disposta a scommettere sull’umano per chiamare a raccolta della missione educativa ogni singola risorsa disponibile. La sua validità si è rivelata non solo nei risultati immediati che ha prodotto sui partecipanti diretti, ma soprattutto nel modello innovativo che propone di ripensare il rapporto tra giustizia, educazione e comunità in una prospettiva più umana e inclusiva.

Il percorso di consapevolezza e la scrittura autobiografica

Il cuore metodologico del progetto è costituito da un percorso guidato di consapevolezza e riflessione, accompagnato da un gruppo di professionisti specializzati. Questo percorso ha permesso ai padri partecipanti di attraversare in profondità la dimensione della paternità, di esplorare le diverse sfaccettature di questo ruolo, di confrontare le proprie esperienze con quelle degli altri e di trasformare queste riflessioni in prodotti creativi destinati ai propri figli.

La metodologia adottata si basa su un approccio narrativo e autobiografico che riconosce nel racconto di sé uno strumento fondamentale per la costruzione identitaria e per l’elaborazione delle esperienze di vita. Attraverso la scrittura autobiografica, i padri hanno avuto l’opportunità di ripercorrere la propria storia personale, di riflettere sui momenti significativi del loro percorso di crescita e di paternità, di identificare valori, principi e insegnamenti che desiderano trasmettere ai propri figli.

Questo processo di esplorazione autobiografica non ha avuto solo una valenza introspettiva e trasformativa, ma si è configurato come un vero e proprio laboratorio di costruzione di senso e di progettualità educativa. I padri hanno potuto riflettere non solo su chi sono stati e su chi sono, ma anche su chi vogliono essere come padri, su quali messaggi vogliono trasmettere ai propri figli, su come possono contribuire positivamente alla loro crescita e formazione.

La fiaba come strumento educativo e narrativo

L’azione chiave del progetto è stata quella di utilizzare la fiaba come strumento privilegiato per la trasmissione di valori e messaggi educativi da padre a figlio. La scelta della fiaba non è stata casuale, ma si basa sulla consapevolezza delle straordinarie potenzialità comunicative ed educative proprie di questo genere narrativo.

La fiaba, infatti, rappresenta uno strumento potente per poter raccontare in maniera figurata e metaforica infiniti aspetti della vita e delle vicende umane. Il suo linguaggio simbolico e universale permette di dire l’indicibile, di affrontare temi complessi e delicati attraverso una modalità comunicativa che risulta accessibile e coinvolgente per tutti i destinatari. Attraverso la fiaba, i padri partecipanti al progetto hanno potuto “raccontarsi” ai propri figli in una modalità nuova e creativa, superando le difficoltà comunicative che spesso caratterizzano la relazione genitori-figli, soprattutto in contesti problematici come quello della detenzione, ma non solo. La fiaba ha offerto loro la possibilità di trasmettere valori, insegnamenti, messaggi educativi e parti della propria storia attraverso un linguaggio che risulta allo stesso tempo profondo e accessibile, diretto e rispettoso della sensibilità in primis dei giovani destinatari e poi di ogni altro lettore.

Il gruppo di padri è stato guidato nella creazione di più favole originali, ciascuna delle quali rappresenta un piccolo capolavoro di creatività e di amore paterno. Queste storie non sono solo prodotti letterari, ma veri e propri strumenti educativi attraverso i quali i padri hanno potuto ristabilire un canale di comunicazione autentico e significativo con i propri figli.

Inoltre, le fiabe create non sono rimaste confinate nella dimensione privata della relazione padre-figlio, ma sono state concepite sin dall’inizio come storie aperte alla lettura da parte dell’intera comunità. Quest’apertura rappresenta un elemento di grande valore sociale e culturale, perché trasforma queste narrazioni in un patrimonio collettivo di saggezza e di esperienza che può arricchire l’intera comunità educante. Le fiabe realizzate sono raccolte in questo libro intitolato Nuove favole di libertà.

L’incontro: un momento di sintesi e di trasformazione

Uno dei momenti più significativi e carichi di emozione dell’intero percorso progettuale è stato rappresentato dall’incontro tra il gruppo dei padri ospiti del carcere di Turi e quello dei padri “liberi”, svoltosi all’interno dello stesso istituto penitenziario alla fine dei mesi dedicati al progetto.

Questo incontro si è configurato come un evento di straordinaria intensità umana e di profondo significato simbolico, in cui le barriere fisiche e sociali che separano il “dentro” dal “fuori” sono state temporaneamente superate per dare spazio a un dialogo autentico e paritario sulla paternità.

Durante questo incontro, ciascuno dei padri ha messo in comune con gli altri protagonisti del gruppo vissuti, paure, esperienze, mancanze e ogni altro aspetto della propria paternità. Il dialogo che si è sviluppato nel gruppo integrato ha permesso di condividere una dimensione ampia e articolata dell’essere padre, in cui ciascuno dei presenti ha potuto ascoltare e accogliere le 17

storie degli altri, così come specchiarsi e riconoscere qualcosa di sé nei racconti che ha incontrato.

Questo processo di condivisione e di riconoscimento reciproco ha prodotto effetti trasformativi profondi su tutti i partecipanti. I padri detenuti hanno potuto sperimentare la sensazione di essere riconosciuti e accettati come padri al di là della loro condizione di detenzione, mentre i padri liberi hanno potuto scoprire la ricchezza umana e la profondità educativa che può caratterizzare anche persone che la società tende a etichettare negativamente.

Gli effetti trasformativi: ritrovare se stessi e i propri legami

Gli effetti del progetto “Di Padre in Figlio” possono essere sintetizzati in tre trasformazioni fondamentali che rappresentano l’essenza stessa del valore di questa esperienza.

La prima trasformazione riguarda i padri stessi: attraverso il percorso progettuale, questi uomini hanno ritrovato se stessi nella loro dimensione più autentica e significativa. Hanno riscoperto la propria identità di padri, hanno riconosciuto il valore e l’importanza del loro ruolo genitoriale, hanno acquisito maggiore consapevolezza delle proprie competenze educative e delle proprie responsabilità verso i figli.

La seconda trasformazione coinvolge i figli: attraverso le fiabe create dai loro padri, attraverso i messaggi di amore e di saggezza che questi testi contengono, i giovani hanno avuto l’opportunità di ritrovare i propri padri in una dimensione nuova e arricchita. Hanno potuto riconoscere nei loro genitori non solo le persone che

hanno commesso errori o che attraversano difficoltà, ma soprattutto gli adulti che li amano, che si preoccupano per loro, che hanno esperienze e saggezza da trasmettere.

La terza trasformazione, forse la più profonda e duratura, riguarda la ricostruzione del legame padrefiglio attraverso la condivisione di una storia. Padri e figli si ritrovano in una narrazione comune, in un racconto che li unisce e li definisce come famiglia.

I padri ritrovano se stessi.

I figli ritrovano i propri padri.

Padri e figli si ritrovano in una storia.

Questa storia condivisa diventa “patria”, ovvero luogo familiare e sicuro per legami e relazioni efficaci da tramandare, di padre in figlio.

NUOVE FAVOLE DI LIBERTÀ

DI PADRE IN FIGLIO

IL CILIEGIO DI FLAVIANO

Cari Enrico e Alexia, so di aver sbagliato e vorrei che tutto ciò non fosse mai successo.

Fa niente…

Dopo una caduta c’è sempre una risalita È lì che, prima o poi, ci ritroveremo.

Vi voglio un mondo di bene

C’era una volta… in un regno lontano e sereno, un umile coltivatore di ciliegie di nome Flaviano. Ogni mattina, con il canto dell’allodola, egli si alzava per curare i suoi alberi, che crescevano rigogliosi sotto il sole dorato.

Flaviano aveva una moglie dolce e fedele, di nome Rosa, e due figli: la piccola Livia, che danzava tra i fiori, e il giovane Matteo, forte e curioso. La famiglia viveva felice nella loro modesta casa, circondata dai frutteti profumati. Ma il buon Flaviano, preso dal desiderio di donare loro una vita agiata e dalla preoccupazione che non mancasse loro mai nulla, passava molte ore nei campi e spesso non trovava il tempo per i giochi, le passeggiate e nemmeno per il racconto delle storie serali. Flaviano amava anche i suoi ciliegi, quasi come figli, e li

Papà

accudiva con mani pazienti e cuore lieto.

Ma un giorno, mentre potava i rami, apparvero tre uomini vestiti di scuro. Avevano occhi sottili e sorrisi falsi e sussurrarono parole tentatrici: “Buon Flaviano… nascondi per noi queste casse preziose sotto i tuoi alberi e non farci troppe domande... In cambio avrai più oro di quanto tu possa mai sognare. Potrai finalmente riposarti e alla tua famiglia non mancherà più nulla. E non dovrai più avere paura, né preoccuparti…”.

Flaviano esitò. Guardò il sole che calava pensando ai sacrifici fatti, ai sogni di sua moglie e ai desideri dei figli… E così, accecato da quella promessa, accettò.

Scavò sotto il suo albero più antico – un ciliegio che aveva più di cento anni e che cresceva maestoso proprio in mezzo a quel grande frutteto – e vi nascose il bottino. I primi tempi tutto sembrò andare persino meglio di quanto Flaviano potesse aspettarsi: nessuno poteva immaginare che quell’uomo mite e lavoratore nascondesse un inconfessabile segreto e i primi denari iniziarono ad arrivare nella sua casa.

Ma dopo un po ’ di tempo che quel tesoro maledetto fu sepolto sotto le sue radici, l’albero cominciò a soffrire. Le foglie si accartocciarono, i fiori caddero ad uno ad uno senza dare frutto e persino gli altri ciliegi del frutteto iniziarono a languire. La moglie e i figli del contadino iniziarono a preoccuparsi e, al contempo, non capivano come facesse il denaro a non mancare mai nella loro casa. “Oggi le ciliegie che ho portato al mercato erano poche… ma me le hanno pagate molto bene!” provava a dire Flaviano.

Non passò molto che le guardie del re scoprirono il complotto dei tre malvagi. E, per salvarsi, costoro accusarono Flaviano indicando anche il luogo dove era stata seppellita la refurtiva. Il contadino fu subito portato

dinanzi al sovrano. “Hai tradito la tua terra e la tua famiglia per l’oro di quei manigoldi!” disse il re severo, “E per questo sarai imprigionato!”.

Flaviano avrebbe tanto voluto dire che ciò che aveva fatto era anche per il bene dei suoi figli, o che almeno così pensava… ma col capo chino e il cuore spezzato, sentì che non c ’ erano più parole giuste che lui avrebbe potuto usare e così fu rinchiuso nelle fredde segrete del castello.

Là, divorato dal rimorso, temeva che soprattutto Livia e Matteo lo avessero ormai dimenticato e che l’amore della sua famiglia fosse perduto per sempre. E ogni notte, prima di addormentarsi, ripensava alle persone tanto amate, alla sua terra, a quella storia della sera che non aveva mai tempo di raccontare, ai suoi alberi e si chiedeva come fosse stato possibile che proprio lui avesse portato tante cose belle a un passo dalla rovina: così come gli alberi sembravano spenti e non voler portare più neanche un frutto, anche i suoi figli, i frutti più preziosi e amati, diventarono arrabbiati, tristi e silenziosi, così silenziosi che promisero a se stessi che non avrebbero mai più rivolto neanche una parola al loro padre. Flaviano si chiedeva come avrebbe potuto fare a far germogliare di nuovo i loro sorrisi e a farsi perdonare per i suoi errori: si disperava nella solitudine della sua prigione e piangeva, pensando di averli persi ormai per sempre. Una notte però, Flaviano sognò di ritrovarsi proprio nel suo campo, vicino al vecchio ciliegio ormai spoglio e quasi senza vita. Il contadino, con le lacrime agli occhi, si mise subito al lavoro dissodando la terra, tagliando via i rami secchi e strappando via le erbacce. Finché dai rami dell’antico albero iniziarono a spuntare tante nuove foglioline e poi gemme gonfie e verdi, che sotto il

suo sguardo meravigliato maturarono e sbocciarono fino a dare frutto. Ma al posto delle belle ciliegie di sempre, da quei rami pendevano lucenti tante bellissime… parole.

“Albero mio…” disse in sogno Flaviano “Cosa significa questa cosa…? A cosa servono queste parole…?”.

Ma smise di farsi domande e si mise a raccogliere quel nuovo raccolto con la buona lena di sempre fino a riempirne decine e decine di ceste. All’alba il contadino si svegliò di nuovo nel letto della sua prigione.

Ripensò al sogno che aveva fatto e scoprì che tutte quelle parole che aveva raccolto forse erano ancora lì da qualche parte, dentro di sé.

Allora chiese carta e penna e scrisse.

Scrisse tante cose per Livia e Matteo. Scrisse una bella storia in cui, finalmente un padre trovava il tempo di parlare di sé ai propri figli. Scrisse di un contadino che sa quando è il tempo dell’attesa, quello in cui si tagliano via per sempre i rami secchi e morti, quello in cui si concima la terra per un buon raccolto; un contadino saggio che sa affrontare la delusione di una stagione cattiva, che sa però attendere con pazienza la nuova stagione. Di un uomo che, come tutti gli uomini, è tanto bravo a distruggere quanto a ricostruire.

Di un uomo e del suo Amore, antico come un ciliegio e giovane come il futuro che lo attende.

Flaviano mandò quelle sue nuove parole ai suoi amati figli. E si sentì libero come forse non si era mai sentito prima di allora.

Dicono che nello stesso istante una nuova foglia, giovane e tenera, spuntò sul vecchio ciliegio.

La prima di tante che seguirono…

Trovare le parole dove sembrava impossibile. È questa la s da che hanno accolto padri detenuti e padri in libertà con il progetto “Di Padre in Figlio”, nato da un avviso pubblico del Garante dei detenuti, che ne ha sostenuto le attività all’interno del carcere. Promossa dalla Cooperativa C.R.I.S.I., in collaborazione con l’Associazione SENZA PIUME, la Caritas diocesana di Conversano-Monopoli e la Casa di Reclusione di Turi, l’iniziativa ha dato vita alle Nuove favole di libertà: abe capaci di trasformare il dolore in racconto e la paternità in risorsa educativa, oltre le sbarre e oltre ogni stigma. Con un linguaggio simbolico capace di dire l’indicibile, queste storie aprono spazi di parola e di ascolto dove sembrava esserci solo silenzio: racconti sinceri, delicati, a volte imperfetti, che consegnano ai gli – e a ciascuno di noi – un’eredità di amore, speranza e responsabilità. Sono padri che portano con sé ferite, mancanze, ma anche il desiderio di raccontarsi, di essere ascoltati, di ritrovare un legame con i propri gli. Un libro da leggere insieme, grandi e piccoli, perché la libertà inizia dal coraggio di raccontarsi e dal desiderio di ritrovare la strada di casa. 9 791256 260782

ISBN 979-12-5626-078-2

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